La pesca: storia, impatti e crisi attuale.

Cenni storici:

Fin dall’antichità le popolazione umane che vivevano nelle aree costiere si sono nutrite di organismi marini. Inizialmente, la raccolta era praticata manualmente (harvesting) lungo le coste, ma presto si svilupparono metodi di pesca più efficienti e redditizi. Ami costruiti con legno o ossa sono stati trovati in siti archeologici datati 8000 A.C., mentre reti da pesca e arpioni erano usati in Egitto sin dal 2000 A.C. Gli antichi greci erano consapevoli delle abbondanze stagionali di alcune specie ittiche. Col tempo i pescatori impararono anche a conservare i prodotti attraverso la salatura per avere una disponibilità continua o per commerciarlo.

Con lo sviluppo delle imbarcazioni e delle tecniche di navigazione i primi esploratori scoprirono che in alcune zone si concentravano grosse abbondanze di risorse ittiche, come il merluzzo atlantico Gadus morhua (Gadidae) nelle acque del nuovo mondo. Così fin dai primi del 1500 imbarcazioni francesi e portoghesi attraversavano l’Atlantico per pescare il merluzzo (conosciuto come baccalao) con ami innescati, per poi salarlo o essiccarlo e rivenderlo nei paesi del Mediterraneo.

In Europa la pesca preindustriale era un’attività florida in paesi quali la Francia e i paesi costieri del Mare del Nord. Sin dal 1600 le sardine (Sardina pilchardus) erano catturate con reti fini lungo le coste della Bretagna. In questo periodo inizia anche la pesca del tonno rosso (Thunnus thynnus) nel Mediterraneo meridionale e lungo le coste spagnole e portoghesi. Alla fine del secolo XIX si contavano circa 3000 grosse imbarcazioni da pesca.

Nel 1860, nel Mare del Nord i primi motori a vapore sostituirono le imbarcazioni a vela, consentendo un aumento fino a 4 volte dei rendimenti di pesca. Innovazioni quali le tecniche di inscatolamento dei prodotti ittici, i motori a gasolio delle imbarcazioni che consentivano lunghe permanenze in mare, e i moderni trasporti ferroviari trasformarono l’attività di pesca in un’industria.

Durante le guerre mondiali il settore subì un brusco calo, soprattutto a causa della diminuita domanda di prodotti ittici. Nel periodo dopoguerra si assiste a uno sfruttamento sempre più intenso delle risorse marine. Nonostante il collasso di alcune pesche mirate e l’esaurimento di alcune zone altamente produttive, nuove risorse sono state sfruttate e il quantitativo degli sbarchi è continuato a crescere dal 1950 per mezzo di un maggiore sforzo di pesca causato da una domanda crescente. Attualmente si stima una produzione mondiale del settore di 148 milioni di tonnellate (2010 FAO), per un valore di 217,5 bilioni di dollari.

Stato attuale:

Attualmente il 73% delle principali aree di pesca presenta un declino nella quantità di catture. In Mediterraneo gli stock ittici sono in declino nonostante l’aumento dello sforzo di pesca. Questo ha causato la diminuzione della taglia media degli individui catturati, perché le reti tendono a trattenere selettivamente gli individui più grandi. Il 79% delle specie oggetto di pesca (specie target) presenta un declino nelle abbondanze e nelle biomasse pescate che oscilla, a seconda della specie, tra un 50 e un 90%. Conseguentemente la composizione degli sbarchi annovera una maggiore abbondanza di specie di minore interesse economico, determinando aumenti dei prezzi del pescato. Molti stock ittici sono ad oggi sovrasfruttati, dove per sovrasfruttamento si intende il prelievo di una risorsa oltre la sua soglia di sostenibilità, al punto che il naturale reclutamento e la riproduzione degli adulti non riescono a mantenere il livello della popolazione.

Sostenibilità:

Il concetto di sostenibilità della pesca è anch’esso oggetto di accese discussioni. In mare, diversamente dalla terraferma, è impossibile contare numericamente le popolazioni oggetto di pesca, per cui tutti i dati si ottengono solamente dagli sbarchi compiuti. Attraverso modelli matematici si cerca di risalire alle popolazioni d’origine, con una notevole incertezza, perché i nostri dati si basano sugli stock ittici (frazioni delle popolazioni di specie target sfruttate dalla pesca) e non sulle popolazioni naturali. Pertanto sono stati abbandonati modelli che teorizzavano le massime catture possibili senza intaccare le popolazioni naturali.

Effetti:

Dalla fine degli anni ’80 la pesca mondiale è andata diminuendo di circa 700.000 tonnellate, spostandosi verso specie meno pregiate e di più basso livello trofico. Ma al diminuire della biomassa pescata, invece di attuare misure di salvaguardia e di regolamentazione, si è aumentata l’intensità di pesca, spostandosi da aree sovrasfruttate verso altre. La sovra pesca è il risultato dell’aumento della popolazione umana, della crescita della domanda, del miglioramento delle tecniche e delle politiche nazionali ed internazionali che non riescono a rendere la pesca sostenibile.

Il disastro si fa risalire al 1982, quando le Nazioni Unite promulgarono la Convenzione sulla Legge del Mare, che consentì a tutte le nazioni costiere la gestione assoluta delle politiche di pesca, fino a circa 200 miglia nautiche dalla costa. Il risultato è stato un aumento di tutte le flotte da pesca, il miglioramento dei natanti (che possono pescare tutto l’anno), e l’aumento delle attività di pesca (diversificazione delle tecniche). In più, nei paesi poveri sono state comprate quote di pesca tali da permettere la pesca da parte dei paesi ricchi che, di contro, non hanno alcun altro interesse che lo sfruttamento. In Somalia, approfittando della guerra in corso dal 1991, 700 imbarcazioni (220 da paesi europei) pescano illegalmente lungo 3300 Km di costa, sottraendo alla popolazione, la cui sussistenza è basata sulla pesca artigianale, ogni anno circa 20.000-22.000 t di pesce, per un danno superiore a 15 milioni di dollari/anno.

Tra i tipi di pesca più dannosi si annovera la pesca a strascico, che distrugge ogni anno una superficie pari a 9 milioni di kilometri quadrati, rendendola l’esempio più devastante di pesca industriale, in grado di modificare totalmente gli habitat e le comunità marine.

Bycatch:

Lo scarto di pesca è il principale impatto ambientale dei moderni sistemi di pesca. Esso consiste nella cattura accidentale, lo scarto o il danneggiamento di risorse viventi marine pescate assieme alle specie target. Il bycatch comprende la cattura di specie di basso o nullo valore economico, individui al di sotto delle taglie di legge, mortalità collaterale di diverse specie causate dagli attrezzi di pesca (squali, delfini, tartarughe, balene ecc…). Le cifre parlano di circa 27 milioni di tonnellate annue di scarto, che viene ributtato a mare perché non rilevante da un punto di vista commerciale. Il massimo impatto, in termini di bycatch, è determinato dalla pesca del gambero, che genera 15 kg di scarto per singolo kg di prodotto. Il bycatch è un problema mondiale, causato anche dagli attrezzi più selettivi, di non semplice soluzione perché dipende da più fattori, quali il design degli attrezzi, i metodi di pesca e il comportamento dei pescatori. Un controllo rigoroso e delle attente normative potrebbero tuttavia ridurne l’incidenza.

Conclusioni:

La convinzione che le risorse marine fossero illimitate, sostenuta da alcuni naturalisti di fine ‘800 come Thomas Huxley, ha portato all’attuale espansione incontrollata della pesca. Le risorse marine sono invece esauribili e possono collassare quando lo sfruttamento supera la loro capacità di ricostituirsi, come è successo con lo squalo della California (Galeorhinus galeus) e il merluzzo del Canada (Gadus morhua). La pesca, contrariamente all’espressione “produzione ittica” comunemente utilizzata, non è una forma di produzione, ma al contrario consiste nella sottrazione di una risorsa naturale dall’ambiente. Purtroppo per molto tempo è stata ignorata questa realtà, che mai come ora desta grande preoccupazione. Sì è pescato eccessivamente e indiscriminatamente, per troppo tempo. In sintesi, dobbiamo cominciare a considerare le risorse dei nostri mari come un grande capitale, che se correttamente investito può produrre benefici per l’intera umanità. La sfida consiste dunque nell’avere cura di questo investimento, intervenendo quando necessario per il suo recupero, spendendo nel lungo termine solo gli interessi, e mantenendo intatto il capitale iniziale attraverso un uso sostenibile. La predisposizione di piani pluriennali basati sulle dimensioni della pesca sostenibile è considerata, ad oggi, lo strumento operativo migliore di cui disponiamo per costruire la pesca del futuro.

Fonti: The state of world fisheries and acquaculture (2012).

Immagini: web

Antonio Giacoletti.

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