Intervista ad Alessandro De Maddalena

1. Quando è nata la tua voglia di conoscere il mondo degli squali?

Da bambino, attraverso libri e documentari. Inizialmente avrei voluto diventare un paleontologo, ma in breve il mio interesse si spostò dai dinosauri agli squali. Tale passione divenne fortissima specialmente dopo che vidi il documentario “Uomini e squali”, di Bruno Vailati, un’opera d’impatto notevole, soprattutto per quei tempi.

 

2. Quali sono secondo te i fattori che hanno porto l’uomo ad avere una certo timore per gli squali? I rari incidenti o attacchi ne sono l’unica causa?

Il terrore globale per gli squali nacque nel 1975 con il film “Jaws” (“Lo squalo”) di Steven Spielberg. Fino ad allora gli squali erano molto temuti dall’uomo solo nelle aree nelle quali gli attacchi erano effettivamente più frequenti. Il film materializzò nello squalo la paura atavica dell’uomo verso l’abisso e l’ignoto.

3. Come si potrebbe porre fine alla pratica dello “Shark finning”?

Vietando il commercio delle pinne a livello globale. Purtroppo il finning è solo una forma della distruzione verso la quale l’uomo sta conducendo gli squali, così come sta facendo con gran parte delle forme di vita che popolano il pianeta. La soluzione a tutto questo è una sola: l’arresto immediato della crescita della popolazione umana, argomento del quale non sembrano voler trattare né i politici, né le potenze economiche, né le organizzazioni conservazioniste. A livello economico, una soluzione del genere è scomoda per tutti. Ma non ce ne sono altre: stiamo letteralmente divorando il pianeta. Alcune specie di squali sono diminuite anche del 98-99% nel corso degli ultimi 40 anni.

 

4. Quali interventi e quali strumenti si potrebbero impiegare per avvicinare ancora di più la gente comune al mondo degli squali?

I media hanno un’enorma responsabilità in questo senso. Occorre divulgazione scientifica di alta qualità. Personalmente ho dedicato un’amplissima parte della mia attività alla divulgazione. Ho appena concluso un tour di 27 conferenze sullo squalo bianco in tutta Italia, che è stato visto da oltre 2000 persone. Penso che chi si occupa di questi animali per professione abbia il dovere di fare divulgazione presso il grande pubblico. Non si può permettere che a farlo siano solo i giornalisti. Ancora oggi capita in continuazione di vedere che anche i principali organi di stampa scrivono delle assurdità totali su questo tema. La cosa peggiore sono alcuni documentari dai contenuti altamente diseducativi che spesso vengono proposti all’attenzione di milioni di spettatori in tutto il mondo, anche trasmessi dalle maggiori emittenti. I media hanno la precisa responsabilità di produrre informazione di qualità, cosa che molto spesso non avviene.

 

5. Il tuo lavoro scientifico ha inciso positivamente sulla sensibilità dell’uomo, determinandone un avvicinamento al mondo degli squali?

No, non il mio lavoro di ricerca. O meglio, può avere contribuito, ma in maniera assai esigua. Ciò che è stato più rilevante in tal senso è sicuramente il mio ruolo di divulgatore. In questa veste ho certamente contribuito ad avvicinare il pubblico a questi animali in maniera positiva.

6. Quanto hanno contribuito i viaggi/studio a smentire le errate valutazioni concernenti gli attacchi degli squali? Secondo la tua esperienza, possiamo definire gli attacchi di questi top predator, dei semplici incidenti?

Le spedizioni sono state importanti per offrire ai nostri partecipanti una corretta prospettiva su tale tema. Indirettamente sono state utili in tal senso anche a un pubblico assai più ampio, dal momento che sul tema di tali spedizioni ho avuto modo di tenere numerose conferenze, scrivere vari articoli e pubblicare un libro (“La baia degli squali volanti”). Quanto al definire ‘incidenti’ gli attacchi di squali sono scettico, se con tale termine vogliamo indicare un evento frutto di errore. Penso infatti che quando uno squalo bianco attacca l’essere umano lo faccia come forma di allenamento alla caccia o, in alcuni casi, come forma di ‘esplorazione’ di un oggetto a lui estraneo, più che per errore. Ricordiamo infatti che lo squalo bianco non mangia la propria vittima, salvo casi eccezionalmente rari. Tuttavia altre specie di squali potrebbero essere mosse da altre motivazioni.

 

7. Potresti raccontarci cosa si prova durante un’immersione dentro la gabbia per osservare gli squali? Dopo tanti anni provi sempre le stesse emozioni?

E’ una sensazione molto forte, qualcosa di profondo ed arcaico che si avverte quando la sagoma massiccia emerge dall’acqua torbida. L’emozione è sempre la stessa. Non è paura. E’ più un senso di profondo rispetto. E’ la sensazione di essere al cospetto del divino. E’ qualcosa che resta dentro per sempre.

 

8. Tutto ciò che realizzi in Sud Africa, potrebbe essere applicabile realmente nel Mediterraneo?

No. Gli squali bianchi sono estremamente rari in tutto il Mediterraneo, anche laddove un tempo erano più frequenti. Un’attività del genere sarebbe stata possibile in Croazia alla fine del XIX Secolo, prima che la popolazione locale di squali bianchi venisse sterminata. Nella False Bay, dove hanno luogo le nostre spedizioni, possiamo incontrare anche una decina di squali bianchi in una singola mattina. In Mediterraneo non c’è un solo luogo in cui sia possibile incontrare una decina di squali bianchi in un anno!

 

9. La ricerca, avrà secondo te un nuovo slancio in Italia?

No. In Italia ci sono piccoli poteri accademici che fanno di tutto per impedire che la ricerca venga fatta. Nominalmente vogliono detenere la ‘proprietà’ della ricerca su tali animali, ma al solo fine di impedire che altri la possano fare. E’ un’altra forma del controllo mafioso che opera in tutti i campi nel nostro Paese al fine di garantire determinati privilegi a una piccola casta.

 

10.Quale settore della ricerca secondo te dovrebbe essere incentivato nel nostro paese?

Nella situazione attuale, nessuno. Se ad esempio si investe sullo studio della biologia di una determinata specie al fine di tutelarla dalla pesca indiscriminata, ciò è estremamente utile. Cosa avviene invece oggi di norma? Accade che la ricerca sugli squali venga sfruttata affinché il tale team di ricerca della tale università possa presentarsi come ‘proprietario esclusivo’ di quel determinato aspetto della ricerca, godere della pubblicità da parte dei media, sfruttare il lavoro di qualche tesista, e raccogliere quindi nuovi fondi per portare avanti il proprio lavoro.

 

11. In cosa consistono le spedizioni / corsi di biologia degli squali che organizzi in Sudafrica?

Tutte le mie spedizioni / corsi di biologia degli squali, sono organizzate in collaborazione con Apex Shark Expeditions di Chris e Monique Fallows. L’idea di base è quella di proporre un corso di biologia, etologia ed ecologia degli squali di sette giorni nel posto migliore al mondo per osservare gli squali bianchi ed il loro comportamento predatorio, la False Bay in Sudafrica. Condizioni del mare permettendo, sono previste sette uscite in mare con partenza da Simon’s Town per osservare gli squali bianchi presso Seal Island nella False Bay. Lo staff di Apex Shark Expeditions opera in modo tale da interferire il meno possibile con il comportamento degli animali (non usa fegato di squalo per attirarli, non li alimenta, evita il contatto dello squalo con l’imbarcazione o la gabbia, ecc.). L’imbarcazione, White Pointer II, ormeggiata a Simon’s Town, è un veloce cabinato a motore di 11 metri e, con il suo equipaggio di 3-4 membri qualificati, è a totale disposizione del nostro gruppo di 12 persone. Le immersioni vengono effettuate in un’apposita gabbia antisqualo in acciaio. Tutti si possono immergere non essendo necessario alcun brevetto sub. L’immersione non viene fatta con bombole, ma con lo snorkel o in apnea. In tal modo è più facile comunicare con gli operatori a bordo dell’imbarcazione, che di volta in volta indicano da che parte si stia avvicinando lo squalo. L’attrezzatura per l’immersione è messa a disposizione dall’operatore. Si parte dal porto intorno alle 7 di mattina, si naviga per 25 minuti fino alle acque di Seal Island dove si arriva intorno al sorgere del sole per osservare il comportamento predatorio degli squali bianchi che saltano fuori dall’acqua cacciando le otarie del Capo. In seguito viene utilizzata una sagoma di otaria artificiale per cercare di osservare da vicino e fotografare lo squalo bianco mentre salta. Quindi si osservano le otarie del Capo della colonia di Seal Island, composta da circa 60000 esemplari, monitorando se vi siano esemplari recanti ferite da morsi di squali bianchi. A questo punto si sceglie il punto migliore per l’ancoraggio e gli squali bianchi vengono attirati presso l’imbarcazione, tenendoli vicinissimi per mezzo di una piccola esca che mantenga vivo il loro interesse. Se le condizioni metereologiche lo consentono la gabbia viene calata in mare e i partecipanti possono immergersi. E’ comunque possibile osservare benissimo gli squali anche dalla barca. Spesso durante le uscite è possibile vedere anche altri animali, come ad esempio delfini comuni, delfini del Capo, balene franche australi, balenottere di Bryde e numerose specie di uccelli marini (cormorani, albatri, ossifraghe, zafferani, ecc.). Si rientra in porto intorno a mezzogiorno. Al pomeriggio vengono tenute le lezioni di biologia degli squali. Di norma nei giorni della spedizione si va a visitare anche la colonia di pinguini africani di Boulder’s Beach e la splendida riserva naturale di Cape Point (dove è possibile vedere babbuini, struzzi, impala, ecc.). Si alloggia a Simon’s Town, a 50 minuti d’auto da città del Capo, in un insieme di eleganti appartamenti con spettacolare vista sulla False Bay. Organizziamo da due a quattro di queste spedizioni / corsi di biologia degli squali all’anno. La prossima per la quale vi sono ancora posti disponibili avrà luogo dal 31 Luglio all’8 Agosto 2013.

Per informazioni e iscrizioni: [email protected]

Fonte: Intervista esclusiva, a cura della redazione di ABC Terra.

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