La pratica dell’acquacoltura: verso la sostenibilità

Con il termine acquacoltura ci si riferisce alla produzione di organismi acquatici, principalmente pesci, crostacei e molluschi ed alghe, in ambienti confinati e controllati impiegati per l’alimentazione umana, per la pesca sportiva o per l’acquariofilia. Le denominazioni degli allevamenti mutano secondo il loro impiego, vi sono le peschiere, i vivai, le valli da pesca o gli stagni, mentre capitolo a parte sono i grossi impianti intensivi a terra o in mare. Quest’attività si contrappone generalmente alla pesca, attività molto più antica, nella quale l’uomo si limita a prelevare dagli stock naturali gli organismi di cui ha bisogno.

La pratica dell’acquacoltura ha origini antichissime, le prime testimonianze nel mondo risalgono a più di 5000 anni fa, infatti in un bassorilievo della tomba di Aktihetep del 2500 a.C. è chiaramente riconoscibile un uomo che raccoglie tilapie (pesci d’acqua dolce) da uno stagno e sono riconducibili allo stesso periodo storico anche le origini della carpicoltura in Cina. Dallo stesso luogo proviene il primo trattato conosciuto di piscicoltura scritto da Fan Li nel 500 a.C., mentre sempre in Cina Fang, annoverato fra i padri della piscicoltura cinese tra il 1135 ed il 1122 a.C., costruisce stagni per l’allevamento dei pesci, ed annota con estrema e sorprendente precisione importanti informazioni sul comportamento e sull’accrescimento dei pesci allevati. L’attenzione posta dai fenici, dagli etruschi e dai romani nelle attività piscicole delle aree costiere trae certamente origine dalle antiche pratiche egizie. In Italia, durante l’epoca Immagine1romana, nei laghi costieri, nelle lagune o in apposite peschiere alimentate con acqua marina vengono allevate spigole ed orate, considerate molto pregiate e per le quali si trovano abbondanti citazioni nei ricettari del tempo come ad esempio nel De re coquinaria di Apicio del 1 secolo d.C. Con la fine dell’Impero Romano scompaiono i tipi di acquacoltura presenti, intorno al dodicesimo secolo tornano ad essere utilizzati, ma solamente intorno al XV secolo inizia in Italia la prima forma di acquacoltura estensiva, denominata vallicoltura perché praticata nelle lagune dell’Adriatico.

La moderna ed intensiva acquacoltura in Italia inizia circa 25 anni fa ed è oggi parte integrante della nostra cultura e tradizione. I moderni impianti di allevamento devono sottostare a rigorosi criteri di produzione, per soddisfare una crescente domanda di prodotti di alta qualità, per calmierare i prezzi, e soprattutto devono ridurre al minimo il loro impatto sull’ambiente. Negli anni ’80 il nostro paese si afferma come leader del mercato, grazie alle tradizionali attività di vallicoltura che trovano spazio in aree interne costituite da lagune, dagli stagni e da i bacini artificiali, dedite primariamente alla produzione di specie d’acqua dolce quali carpe, trote, storioni ed anguille, mentre l’allevamento di specie di acqua salata quali spigola ed orata inizia solo alla fine degli anni ’80. Attualmente si contano nel nostro paese circa 130 impianti dediti alla produzione di specie di acqua salata, comprensivi degli impianti a terra ed a mare e gli allevamenti di spigola (Dicentrarchus labrax) ed orata (Sparus aurata) rappresentano circa il 96% di tutta la produzione ittica italiana. L’Italia è anche uno dei principali produttori europei di molluschi, costituenti circa il 70% della produzione nazionale complessiva da acquacoltura, e l’area più importante per la loro produzione è l’Adriatico. Dal 2003 l’Italia sviluppa dei sistemi di ingrasso per il Tonno rosso (Thunnus thynnus) tramite gabbie a mare nelle regioni del sud, principalmente Sicilia, Calabria, Puglia e Campania; e dal 2006 nove di questi impianti sono monitorati dall’ICAAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas). Attualmente si allevano intensivamente o sperimentalmente circa 14 specie di pesci e 11 specie di molluschi, ed almeno 11 nuove specie sono pronte per essere allevate a livello commerciale, tra cui il dentice (Dentex dentex), il sarago pizzuto (Diplodus puntazzo), il pagello fragolino (Pagellus erythrynus), l’ombrina (Umbrina cirrosa) and l’ombrina bocca d’oro (Argyrosomus regius). Attualmente lo sviluppo del settore italiano è orientato alla produzione di specie di acqua salata, e i finanziamenti nazionali ed europei mirano al miglioramento tecnologico finalizzato ad un minore impatto ambientale.

La notevole espansione del settore ha generato notevoli conflitti, principalmente legati all’accessibilità delle aree costiere per la creazione di nuovi impianti e per ovviare a tali problemi si è sviluppata la Maricoltura, cioè l’attività di acquacoltura svolta per la quasi totalità del ciclo in mare, per mezzo di gabbie a rete galleggianti. La Maricoltura ha ridotto in molti casi i costi di gestione degli impianti e ha riavvicinato al settore le esperienze, i mestieri e le tradizioni della “piccola pesca”, permettendone la riconversione in un’attività moderna.

Sostenibilità:

Lo sviluppo sostenibile consiste nella gestione e nella conservazione delle risorse naturali e nell’orientamento di innovazioni tecnologiche e di cambiamenti istituzionali in modo da assicurare la soddisfazione delle necessità dell’uomo, per le presenti generazioni e per le future. Tale sviluppo sostenibile (in agricoltura come nel settore della pesca) deve conservare la terra, l’acqua, le risorse genetiche di flora e fauna, non deve degradare l’ambiente, deve essere tecnologicamente appropriato, economicamente perseguibile e socialmente accettabile (FAO Fisheries Department, 1997).

Immagine2L’acquacoltura è considerata come una possibilità per lo sviluppo sostenibile del settore ittico, nonché un’importante occasione di sviluppo economico locale, tuttavia, affinché sia realmente sostenibile, questa attività deve essere gestita in modo da minimizzare l’impatto ambientale ed evitare problematiche sociali. Nel 1995 la FAO pubblica il “Codice di condotta per la pesca responsabile”, che include anche i principi per lo sviluppo di un’acquacoltura sostenibile. Tali principi mirano a ricercare nuovi approcci produttivi per aumentare la sostenibilità ambientale dell’acquacoltura e il suo inquadramento tra le attività produttive eco-compatibili, ovvero una Environmental Friendly Acquaculture. Il Codice apre così la strada ad una nuova realtà, nella quale non si può prescindere da una serie di fattori esterni fra i quali l’ambiente, la sicurezza alimentare, la qualità e le esigenze dei consumatori. Il Codice può essere visto anche come uno strumento che dia più competitività sul mercato, perché l’ambiente e la difesa dei consumatori sono oggi alla base delle politiche di qualità.

La sostenibilità in acquacoltura è orientata alla riduzione dello stress di allevamento e al conseguente incremento del benessere degli organismi, riducendo i carichi di allevamento, alla valorizzazione di pratiche estensive piuttosto che intensive, mirando a produzioni biologiche certificabili e alla realizzazione di approcci produttivi più sostenibili mediante il riciclo e la depurazione naturale delle acque di scarto (fitodepurazione). Lo sviluppo di un impianto “rispettoso dell’ambiente” implica rigorosi studi sulla capacità portante del sistema, ovvero sul carico di nutrienti derivati principalmente dai mangimi e dalle deiezioni dei pesci che l’ambiente è in grado di smaltire autonomamente senza incorrere in effetti negativi di inquinamento e sviluppo di patologie. Il settore della mangimistica necessita anch’esso di ulteriori studi, per offrire mangimi non derivati da farine di pesce e con un minore impatto ambientale. In tal senso, uno sviluppo del settore è auspicabile per consentire di allentare la pressione di pesca nei nostri mari, perché gli stock naturali non sono una risorsa infinita e le moderne pratiche di pesca mettono a dura prova la sopravvivenza di molti habitat e specie di interesse commerciale.

Antonio Giacoletti.

Fonti:

  • Libri e letteratura del settore.

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