Intervista al Prof. Gianni P. Felicini

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1. Professore Felicini, cosa l’ha spinta ad approcciarsi alla Fisiologia vegetale, ed in particolare al campo delle alghe?

Andando in ordine di tempo, alle alghe ci sono arrivato per caso da studente, avendo chiesto la tesi sperimentale in botanica. Sebbene mi piacessero gli animali, la botanica l’ho preferita fra le materie biologiche perché mai avrei potuto lavorare su animali che avrebbero potuto essere sacrificati alla Scienza. Ricordo a questo proposito la mia espulsione dall’aula di esercitazioni di Fisiologia Generale, avendo protestato quando una graziosa assistente, con la massima disinvoltura, afferrò una rana e, con una forbice le troncò il cranio. La direttrice dell’Istituto Botanico, sentito che ero appassionato di mare e che risiedevo ad Otranto, mi propose uno studio floristico sulle alghe di quella zona. Dopo la laurea fortuna volle che si verificassero due situazioni favorevoli. La prima fu che una giovane dottoressa che occupava temporaneamente come supplente un posto di assistente, avendo vinto il concorso nella scuola, optò per quest’ultimo. Fu così che io ebbi l’opportunità di un incarico retribuito che mi consentiva di pagare vitto e alloggio a Bari. La seconda fu che la mia fidanzata (e futura moglie), anche lei salentina, nello stesso periodo vinse un concorso nelle Dogane e si riuscì a farla destinare a Bari. Considerai queste circostanze come un segno della Provvidenza, quasi fosse il regalo di mio padre, sepolto in un sommergibile a mille metri di profondità nello Ionio. Il mio legame con il mare ha anche questo vincolo spirituale! Nel primo anno, insieme con l’assistente che mi aveva seguito nella tesi, che era anche professoressa incaricata dell’insegnamento di Fisiologia Vegetale, mi dedicai alla coltura di alghe verdi marine in laboratorio. Le tematiche sulla coltura di alghe rimasero le mie preferite anche dopo aver vinto il concorso di assistente ordinario. Qualche anno dopo arrivò un nuovo direttore che aveva un’estrazione scientifica e culturale prevalentemente di tipo fisiologico-biochimico. Non pretese che io cambiassi indirizzo di ricerca e, anzi, in un certo senso mi favorì, facendo inserire, per la prima volta in Italia, nello statuto delle Scienze Biologiche, l’insegnamento di Algologia. Io però non potetti ricoprirne l’incarico, essendo già incaricato di Botanica Generale per la facoltà di Scienze Naturali. Diventai ufficialmente docente di  Biologia delle Alghe diversi anni dopo come professore associato. La mia Fisiologia delle alghe è stata soprattutto fisio-ecologia, cioè indirizzata allo studio fisiologico del rapporto alga-ambiente.

2. Può spiegare ai nostri lettori cosa studia la Fisiologia vegetale?

La Fisiologia Vegetale è la branca della botanica generale che studia il funzionamento dell’organismo vegetale. Se questo è una pianta della terraferma, che sia un albero o un’erba, essa è una cormofita, detta così perché ha un corpo, chiamato “cormo”, formato da tre distinte parti vegetative: le foglie, il fusto e la radice. Ogni parte svolge almeno una importante funzione vitale per la pianta. I parametri di queste funzioni variano con la specie (soprattutto in relazione alla sua anatomia) e con le condizioni fisiche e chimiche (climatiche) alle quali la pianta è sottoposta. Queste tre importanti funzioni sono: la fotosintesi clorofilliana che avviene principalmente nelle foglie, l’assorbimento dell’acqua e dei sali minerali che la radice compie nel terreno, il trasporto della soluzione, acqua più sali (linfa grezza), dalla radice alle foglie attraverso gli appositi canali (vasi) che compongono la parte interna legnosa del fusto, della radice e delle nervature delle foglie. Un altro trasporto avviene in senso contrario attraverso un altro tessuto specializzato (floema) che si trova nella zona corticale. Nelle foglie, infatti, come conseguenza della fotosintesi, si producono sostanze organiche (principalmente carboidrati) che, in soluzione (linfa elaborata), si spostano dalle foglie verso tessuti di riserva che si trovano nel fusto e nella radice, dove gli zuccheri solubili vengono accumulati come zuccheri insolubili (amido, emicellulose). Queste riserve, nuovamente idrolizzate, serviranno per la crescita e per la produzione di fiori, frutti e semi. Esiste inoltre una fisiologia della riproduzione, che indaga sui fattori e sui meccanismi chimico-fisici che influiscono sulla formazione e la maturazione degli organi riproduttivi (fioritura, fecondazione, formazione del frutto e del seme, germinazione del seme). Queste conoscenze fisiologiche di base permettono di comprendere la distribuzione geografica naturale delle specie e, per le piante coltivate, permettono di ottimizzare la produzione agricola.

Le alghe, essendo vegetali a “tallo”, cioè con un corpo relativamente omogeneo, non distinto nelle tre parti tipiche di una pianta, svolgono la funzione fotosintetica in quasi tutte le cellule del tallo, non hanno uno specializzato organo d’assorbimento né hanno la necessità del trasporto di soluzioni, vivendo immerse nell’habitat acquatico. Perciò la maggior parte degli studi di fisiologia si concentra sul loro rapporto con la luce e sull’ambiente chimico che le circonda. La luce che un’alga riceve varia infatti qualitativamente e quantitativamente con la profondità e pertanto le alghe, eccetto quelle verdi, sono dotate di molti altri pigmenti fotosintetici (pigmenti accessori) che catturano l’energia luminosa a diverse lunghezze d’onda e la cedono alla clorofilla per lo svolgimento della fotosintesi. Inoltre la luce può anche condizionare la forma del tallo o di parti di esso.

Lo studio fisiologico su come un’alga risponde all’ambiente chimico è particolarmente importante in ecologia per la valutazione dell’impatto ambientale. A causa dell’eutrofizzazione e dell’inquinamento delle acque alcune specie di alghe sono state scelte come indicatori biologici. Per esempio, chiunque può constatare come allo sbocco in mare di scarichi urbani (anche provvisti di depuratore) ci sia una prevalenza quasi assoluta di alghe verdi appartenenti all’ordine delle Ulvales (per esempio la lattuga di mare, Ulva, e la nastriforme Enteromorpha). Queste alghe verdi sono definite “nitrofile” perché proliferano enormemente in un’acqua resa eutrofica da nitrati e sali d’ammonio che derivano dalla decomposione di sostanze organiche. Ci sono poi alghe che, a causa dell’inquinamento industriale, si trovano ad accumulare metalli pesanti ed anche ioni di metalli radioattivi. E qui la ricerca è di enorme importanza per le possibili conseguenze di questi elementi tossici sulla catena alimentare.

In conclusione, le tematiche che possono essere oggetto di ricerca della Fisiologia Vegetale sono numerosissime sia che si studino le piante sia che si studino le alghe.

3. Quali tematiche inerenti le alghe o le piante l’hanno appassionata maggiormente nel corso dei suoi studi?

Le tematiche riguardanti le piante superiori sono state, in verità, poche. Si tratta di lavori che definirei giovanili, svolti per incarico dei direttori. Sostanzialmente si tratta di due argomenti: la germinazione del seme di alcune specie di Pinus e uno studio fisiologico e micro-cinematografico sulle correnti citoplasmatiche nelle cellule della foglia di una pianta acquatica, Elodea canadensis. Tutte le altre ricerche hanno riguardato quasi esclusivamente macroalghe marine. Quelle che mi hanno maggiormente appassionato erano rivolte allo studio della rigenerazione in alcune alghe rosse che mostravano questa capacità. Per rigenerazione s’intende la formazione di germogli vegetativi da piccole porzioni di tallo (espianti) e che portano alla creazione di un nuovo organismo. Utilizzando la rigenerazione in vitro di alcune specie, in particolare dell’ordine Gelidiales (Rhodophyta) si poteva studiare il differenziamento dei germogli in tallo di tipo eretto (erect frond), cioè la parte più visibile dell’alga, destinata alla fotosintesi e alla riproduzione, e/o in tallo di tipo prostrato (creeping axes), cioè la parte meno visibile che striscia sul substrato roccioso e ad esso si ancora con appositi organi rizoidali. Sulla crescita e il differenziamento di tali germogli sono state provate varie condizioni chimiche (effetto dei nutrienti minerali, fitoormoni) e fisiche (irradianza, temperatura).

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Questi studi di base ebbero una logica ricaduta applicativa sulla possibilità di sperimentare la coltivazione in vasca (ed eventualmente in mare) di Gelidiacee (nel nostro caso Pterocladiella capillacea), fonti principali di un noto fico-colloide commercialmente pregiato, l’agar-agar. Questo studio ebbe il cofinanziamento dello Stato in un progetto (PRIN 2000) che aveva per titolo “Biologia e tassonomia di specie macroalgali d’interesse economico”, in collaborazione con l’Università di Messina.

Molti risultati di ricerche preliminari su questo tema applicativo li avevamo già riportati in un capitolo monografico:

  • G.P. Felicini & C. Perrone, 1994, Pterocladia, in “Biology of Economic Algae”, (I. Akatsuka Edit.), Kugler Publications, Amsterdam.

w_PteroclaUn’altra tematica in cui mi sono appassionato riguardò la crescita e la moltiplicazione vegetativa in coltura di due specie di alghe verdi a tallo vescicolare multinucleato (struttura sifonale) del genere Valonia.  In particolare, l’aspetto più  interessante fu la messa a punto di una metodica originale per ottenere nuove plantule partendo da protoplasti isolati. Una possibile applicazione pratica di questa tecnica potrebbe essere la coltivazione massiva di queste alghe in vasche da utilizzare per la biodepurazione di acque eutrofizzate, dal momento che sono in grado di accumulare grandi quantità di nitrati.

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4. Ad oggi sono presenti ancora molti studiosi della Fisiologia vegetale?

Come insegnamento la Fisiologia Vegetale è una disciplina fondamentale delle Scienze Biologiche e Naturali e delle Scienze Agrarie. Ha un proprio raggruppamento concorsuale per il reclutamento dei docenti, distinto dal raggruppamento di Botanica. Esiste anche una Società Italiana di Fisiologia Vegetale che è indipendente dalla Società Botanica Italiana e si tengono perciò due distinti congressi annuali, anche se molti soci partecipano ad entrambi ed i ricercatori lavorano e collaborano negli stessi dipartimenti. Si può dire che alla botanica classica sia rimasto solo un piccolo settore di Botanica Generale, quello morfo-anatomico, e la Botanica Sistematica che s’interessa di tassonomia, sinecologia vegetale, fitosociologia, fitogeografia. Il resto della ricerca, quella più avanzata, rientra nella fisiologia e nella biochimica vegetale e va dalle tematiche tradizionali, per esempio la fotosintesi clorofilliana, alla biologia molecolare (che viene utilizzata anche in tassonomia per classificare le specie in base alle linee filetiche).

5. Durante i suoi studi si è dovuto talvolta confrontare con delle tesi contrapposte alle sue?

No, non è mai successo per un motivo piuttosto banale: gli argomenti trattati nella ricerca del gruppo di Algologia di Bari erano unici in Italia. All’estero c’era qualcuno interessato ma non lavorava in ricerche simili. Cosi, forse in mancanza d’altro, alcuni nostri risultati risultarono graditi senza alcuna critica e lo dimostra il fatto che sono stati riportati più volte in volumi tematici di noti autori esperti nel campo della fisiologia ecologica delle alghe marine:

  • Lobban C.S. & Wynne M.J. (1981), The Biology of Seaweeds, Blackwell Sci. Publs;
  • Lobban C.S., Harrison P.J. & Duncan M.J. (1985), The Physiological Ecology of Seaweeds, Cambridge University Press;
  • Lobban C.S. & Harrison P.J. (1994) Seaweed Ecology and Physiology, Cambridge Universirty Press.

 6. Crede che la ricerca nel campo della Fisiologia vegetale possa rappresentare un futuro per molti giovani nel nostro Paese?

Assolutamente si. E’ un settore delle biologia vegetale in cui c’è ancora tanto da scoprire. Se però per futuro s’intende il posto di lavoro, cioè la possibilità di una sistemazione economica per giovani ricercatori, non saprei rispondere. La questione rientra nel quadro generale dei problemi delle università italiane. Diventare ricercatore strutturato e stipendiato oggi ha difficoltà uguali in tutti i campi. Qualche possibilità, ma sempre da prevedere con il contagocce, potrebbe esistere presso Enti di ricerca pubblici o in fondazioni o aziende private, in particolare nel settore agro-alimentare.

7. Cosa impedisce o rallenta secondo lei la ricerca scientifica in Italia?

La risposta non può che essere una, sempre la stessa: la mancanza di fondi. Non ci sono nuovi posti; c’è poco denaro anche per contratti a tempo definito; le attrezzature invecchiano e non possono essere rinnovate o aggiornate agli sviluppi tecnologici più recenti; gli anziani vanno via senza sostituzione. Si salvano, ma non sempre, i centri d’eccellenza. Ma questi si trovano soprattutto nel campo biologico-medico e, grazie all’importanza delle tematiche che trattano, possono ricevere fondi dalle periodiche collette nazionali. I governi, assillati dai grossi problemi finanziari che conosciamo, mettono sempre in coda la ricerca scientifica e l’istruzione, avendo queste scarsa influenza sul PIL. Nell’ottica amministrativa corrente, fortemente d’ideologia liberale, finanziare la ricerca ha il significato di investire nella ricerca. Perciò si mettono ai primi posti gli investimenti che si spera siano più velocemente produttivi. Anche la CE, nel finanziare progetti di ricerca, dà assoluta priorità a quelli applicativi e, in second’ordine, a quelli sull’ambiente. Sono invece quasi del tutto ignorati i progetti su ricerche di base.

8. Con quale professore o professoressa in particolare avrebbe voluto collaborare per la realizzazione di un progetto?

Come ho già detto, in Italia, malgrado la presenza di vari gruppi di ricerca sulle alghe, non c’era nessuno che si occupasse degli argomenti di ricerca che m’interessavano. All’estero c’era qualcuno con cui mi sarebbe piaciuta una collaborazione ma si trattava comunque di singoli ricercatori sparsi tra l’Europa e l’America. Per lavorare insieme avrei dovuto andarci io. Forse in questo sono stato pigro e forse ho perso delle occasioni, perché la collaborazione con persone con cui si condividono i medesimi interessi di ricerca porta sempre un miglioramento sia qualitativo che quantitativo. Ho comunque avuto la fortuna d’avere in sede la collaborazione di una persona molto valida con la quale ho firmato gran parte delle pubblicazioni sulle alghe.

9. Cosa le manca del suo lavoro adesso che è in pensione?

Sono sincero: non ho nostalgie. Il mio interesse per le alghe non può certamente svanire da un giorno all’altro dopo averle avute in mente ed in mano per oltre quarant’anni. Ma la ricerca non è la sola attività di un docente universitario. Negli ultimi anni ci sono stati cambiamenti peggiorativi nell’organizzazione della didattica (molti incarichi d’insegnamento affidati alla stessa persona come conseguenza della progressiva riduzione del numero di docenti) che hanno spinto diversi colleghi a togliere le tende anche prima della data ufficiale di pensionamento. Tuttavia fare il pensionato non mi annoia. Per mia fortuna ho diversi hobby che mi consentono di trascorrere la vecchiaia in piacevoli e divertenti attività. Insomma, sono sempre molto occupato per me stesso e, ovviamente, per la famiglia!

10. Un professore in pensione, se volesse, potrebbe ancora offrire un contributo alla ricerca? Se si, in che modo?

In teoria si. In pratica è consigliabile che lo faccia solo fino alla conclusione di ricerche che lo coinvolgevano direttamente. Dopo potrebbe, al massimo, essere un consulente, su esplicita richiesta, per esprimere pareri non vincolanti. E’ giusto che sia così. L’ex-docente in pensione non deve interferire (e magari pontificare come di solito fanno gli anziani) nel lavoro degli altri, anche se un tempo suoi allievi. Per offrire un reale contributo alla ricerca bisogna metterci non solo la testa ma qualche volta anche le mani. Questo significa che il pensionato, per contribuire, dev’essere spesso presente. Però dev’essere attento a controllare che la sua presenza sia sempre gradita e che non ci siano persone in attesa che la sua stanza e la sua scrivania vengano finalmente liberate. Questo l’ho visto in altri casi e, quando è arrivato il mio turno, ho deciso di restare subito a casa, dove ho comunque il telefono.

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