Intervista ad Egidio Trainito

Intervista  ad  Egidio Trainito, noto fotografo e divulgatore scientifico. Egidio Trainito è autore di diversi libri di consultazione scientifica, come “Le conchiglie del Mediterraneo”, “Gli  arlecchini del mare” ed “Atlante di Flora e Fauna del Mediterraneo”. Attualmente collabora  con il programma televisivo Rai “Linea Blu”.

1. Quando è nata la sua passione per la fotografia?

La mia prima fotocamera è stata una Asahi Pentax acquistata nel 1970. Da allora ho sperimentato tutte le tecniche di camera oscura (BN, colore invertibile e colore negativo) e ho approfondito la storia della fotografia. I miei riferimenti di partenza erano la fotografia USA e la fotografia di reportage sociale italiana. Ho iniziato a fare fotografia naturalistica dopo il 1985, mi ci ha costretto la Sardegna, un po’ più tardi quella subacquea.

2. Lei è un noto fotografo e divulgatore, quali sono state le fotografie che le hanno permesso di farsi conoscere?

I primi reportage su Oasis e poi il lungo lavoro di inviato per le riviste subacquee.

3. Secondo Lei, è fondamentale la fotografia per la divulgazione scientifica?

Si. Ritengo fondamentale creare un collegamento tra gli organismi così come sono in situ e l’analisi tassonomica per sviluppare le tecniche di controllo degli habitat tramite visual census. Un altro ruolo che può giocare la fotografia è nella conoscenza del cambiamento degli habitat, soprattutto oggi in pieno e accelerato cambiamento climatico.

4. Secondo Lei, si può affascinare un pubblico estraneo al mondo marino? Se si come?

Basta poco, visto che per chi non lo consoce è tutto sorprendente e non può che essere così. Forse bisognerebbe smetterla di correre dietro agli squali (e anche di ammazzarli!!) e bisognerebbe invece mostrare la straordinaria diversità di forme e colori degli invertebrati, delle alghe, insomma tutto il resto.

5. In quali argomenti Lei crede vi siano maggiori lacune da parte dei visitatori che partecipano alle sue mostre ed eventi? E quali sono le loro domande frequenti?

Pochissimi sanno cosa stanno guardando e se non ci fossero le didascalie non saprebbero proprio orientarsi. Di solito l’interesse è mangereccio o di possibile pericolo, ma è il risultato di una cultura basata su queste cose e sulla ricerca dell’iperbole ad ogni costo.

6. A che livello giudica la divulgazione scientifica in Italia?

Chi dovrebbe farla, cioè quelli che hanno la conoscenza, non la fanno (con pochissime eccezioni) almeno nel campo delle scienze del mare. Ma è un discorso lungo e complesso che riguarda l’università, il valore della cultura nella nostra società e in generale il lavoro.

7. Visto che Lei ha lavorato in diversi contesti, cosa pensa delle aree marine protette?

Che bisognerebbe eliminarne almeno una metà e far funzionare quelle che restano con situazioni di eccellenza, estirpandole ai legami con la politica locale e rivedendo tutta la legislazione sulle aree protette in particolare unificando Parchi Nazionali e AMP sia come compiti che come strumenti di gestione, riducendo gli apparati inutili e dando occasioni di lavoro vero e duraturo ai tanti giovani che vogliono fare i biologi marini e non ci riescono. Il tutto con una buona fetta del bilancio dello Stato.

8. Crede che nel nostro Paese, la divulgazione scientifica dell’ambiente e delle problematiche ad esso legate per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica sia ben svolta oppure no? In caso affermativo vi sarebbe bisogno di incentivare lo stesso la realizzazione delle aree marine protette?

Sulla divulgazione scientifica ho già detto che è carente e andrebbe sviluppata e migliorata. Le AMP dovrebbero svolgere un ruolo di sentinelle su due fenomeni fondamentali, il cambiamento indotto dalle attività umane e dal clima, e diventare attori principali della gestione integrata degli ambienti costieri intesi come un continuum tra terra e mare, non  come ambienti separati.

9. Qual è l’ultimo lavoro che ha realizzato?

Un piccolo quaderno intitolato Nascita di una specie i cui contenuti sono il risultato di una ricerca dell’Università di Sassari su tre specie di piante terrestri dell’Isola di Tavolara al quale ho collaborato con le mie immagini. La mostra Mare Nostrum all’Aeroporto di Olbia sulla biodiversità e il cambiamento del Mediterraneo.

10. Vorrebbe consigliare ai nostri lettori un suo lavoro?

Sicuramente l’Atlante di flora e fauna del Mediterraneo per far scattare la voglia di osservare e poi quella della “raccolta delle figurine”: l’ho visto, non l’ho visto. È il primo passo per appassionarsi alla conoscenza e per far nascere la voglia di approfondire.

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