I PESCI FARFALLA E I LORO SEGRETI NASCOSTI

I pesci farfalla abitano le acque dei mari tropicali e sono molto ricercati da coloro che allestiscono acquari, hanno corpi arrotondati lateralmente compressi a forma di disco che permettono loro di infilarsi nelle strette fessure delle scogliere coralline per nascondersi da eventuali predatori, di solito si possono osservare in coppia generalmente durante le ore diurne, appartengono alla famiglia dei Chetodontidi ed attualmente ne sono state identificate circa 130 specie. Il nome comune di pesci farfalla che è stato loro attribuito è dovuto sia ai colori sgargianti della livrea sia ai rapidi movimenti che compiono attraversando la barriera corallina che inevitabilmente ricordano lo sfarfallio dei lepidotteri su di un prato in fiore. Si possono ritrovare nella maggior parte degli oceani ma è nell’oceano Indiano che presentano la maggiore diversità di specie ed il più alto numero di popolazione. Comunemente i pesci farfalla non sono territoriali per questo stabiliscono il loro areale di caccia e riproduzione in zone estese ma allo stesso tempo strettamente collegate all’ambiente di scogliera inoltre vivono preferibilmente in acque basse con una profondità massima di circa 20 metri. Questi chetodontidi sono onnivori e nella loro dieta entrano a far parte gli stessi polipi delle barriere coralline assieme a vermi marini, crostacei, anemoni di mare ed alghe che riescono a strappare dalla scogliera con i loro denti a forma di spatola. Nei pesci farfalla si può notare come vi sia un adattamento morfologico per dimensione, forma e posizione della bocca proprio in funzione dell’alimentazione. Essi sono in grado di muovere con destrezza le piccole pinne laterali ma non sono abituati a nuotare per lunghe distanze, negli stadi giovanili i pesci farfalla sono colorati come gli adulti in bianco, nero e giallo brillante, molti hanno anche delle bande verticali vicino all’occhio ed alcuni delle macchie circolari. Sono proprio queste ultime a trarre spesso in inganno i loro potenziali predatori che confondono la parte anteriore dei chetodontidi con quella posteriore, in questo modo inaspettatamente le loro prede fuggono via dalla parte opposta. In questa specie la fase riproduttiva presenta un rituale di corteggiamento lungo ed elaborato, la fecondazione avviene esternamente dopo che il maschio e la femmina hanno rilasciato nel mezzo acquoso i rispettivi gameti. Una volta che le uova sono state fecondate vengono dirette sul fondo dagli individui adulti e la loro successiva schiusa può avvenire entro un anno dalla deposizione. Il successivo stadio di larva ha delle caratteristiche uniche nel suo genere: essa si presenta traslucida di colore grigiastro, compressa lateralmente con delle grandi placche ossee che si estendono fino alla parte posteriore della testa inoltre il suo aspetto è del tutto simile a quello dell’individuo adulto. In uno studio di monitoraggio ambientale condotto nel 2005 sulla barriera corallina situata vicino alla costa sudoccidentale del Madagascar alcune specie di chetodontidi sono state impiegate come bioindicatori delle condizioni delle acque. Visto che la maggior parte della popolazione umana di questi territori sopravvive quasi esclusivamente grazie alle risorse provenienti dal mare è stato necessario condurre un’analisi dell’impatto antropico sull’ambiente naturale del luogo. E’ risultato che in queste zone due sono le principali cause di disturbo da parte dell’intervento dell’uomo: l’intensa ed indiscriminata attività di pesca e la massiccia sedimentazione derivante dal dragaggio del fiume Onilahy causata dalle inesistenti pratiche agricole dell’entroterra. In particolare le specie di pesci farfalla utilizzati nello studio hanno permesso di rilevare ed indicare la portata dei cambiamenti potenzialmente distruttivi per la vita della scogliera. Individuando il livello di criticità massimo prima del raggiungimento del “punto di non ritorno” si sono potute mettere in atto strategie per limitare e prevenire danni ambientali irreversibili.

Chiara Scamardella.

Fonti articolo:

  • “Butterflyfish, Angelfish, King Angelfish” articolo di Cynthia Mlakar.
  • “The use of Butterflyfish as indicator species of reef health off of the southwest coast of Madagascar” studio del 2005 riferimenti letterari a Crosby, Lieske, Rogers.

Fonti immagini: sito pinteres