Che cos’é la Blue Economy?

 È l’economia della responsabilità, individuale e collettiva, che parte dal mare, ma che non si esaurisce in esso. La Blue Economy nasce dal classico concetto di sviluppo sostenibile: « lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni » (WCED,1987) ma va oltre, sviluppandosi verso quattro specifiche direttrici di sostenibilità: economica, sociale, ambientale e culturale. Rappresenta inoltre uno sviluppo della Green Economy, innovando gli strumenti di sviluppo già posti in campo da essa, quale soprattutto la sensibilizzazione verso metodi di produzione sostenibile, verso un sistema di responsabilità e di concreta partecipazione di tutti gli attori della pesca e dell’agroindustria del Mediterraneo a una produzione davvero rispettosa dell’ambiente e capace di valorizzare le risorse del territorio costiero.

La Blue Economy punta all’innovazione come mezzo per raggiungere l’obiettivo di una crescita ecosostenibile. Applicata al business si traduce in “blue thinking”, ossia al pensare a un cambiamento nello sviluppo, a tutela dell’ambiente non come un onere ma come un oceano di possibilità. Il “blue thinking” abbraccia la sostenibilità e la responsabilità ambientale per adeguarsi ai cambiamenti, climatici ed economici.

Blue Economy significa ispirare le scelte migliori per il pianeta e le persone che lo abitano, significa compiere un cambiamento.
Per quanto riguarda il Mediterraneo:

A conclusione della 17esima Conferenza delle parti della Convenzione di Barcellona per la protezione dell’ambiente marino e delle regioni costiere del Mediterraneo, che si è tenuta dall’8 al 10 febbraio 2012 a Parigi, 21 Paesi del Mediterraneo e l’Unione Europea hanno chiesto di realizzare la Blue Economy «per salvaguardare e promuovere un ambiente mediterraneo pulito, sano e produttivo».

Dalla conferenza è emerso che «gli ecosistemi marini del mondo forniscono cibo essenziale e sostentamento a milioni di persone. […]». Essa ha inoltre accolto con favore i progressi compiuti nel 2011 nel rafforzamento della lotta contro il deterioramento del Mediterraneo, con l’entrata in vigore del protocollo Integrated Coastal Zone Management (Iczm –  Gestione integrata delle zone costiere).

Nella dichiarazione di Parigi, i paesi aderenti alla convenzione di Barcellona riaffermano il loro impegno politico per lo sviluppo sostenibile del Mar Mediterraneo e delle sue zone costiere attraverso un approccio ecosistemico alla gestione delle attività umane; decidono di elaborare un approccio coerente, una rete ben gestita di aree marine protette nel Mediterraneo, mirando ad un obiettivo del 10% di aree marine protette entro il 2020;  decidono di intensificare i loro sforzi per ridurre l’inquinamento marino di origine terrestre, come il mercurio, gli inquinanti organici persistenti e i rifiuti marini, attraverso l’adozione di misure giuridicamente vincolanti, e di ridurre l’inquinamento da attività offshore e marine-based anche con piani d’azione regionali. Adottano il piano d’azione per l’implementazione del protocollo Integrated coastal zone management  e incoraggiano tutte le parti contraenti a ratificarlo. Si accordano per lavorare per proteggere la conservazione e l’utilizzo sostenibile della biodiversità marina nelle zone al di fuori della giurisdizione nazionale,  attraverso l’attuazione degli strumenti esistenti e attraverso lo sviluppo di un accordo multilaterale nell’ambito dell’ United Nations convention on the law of the sea. Sostengono la preparazione entro il 2014 di un rapporto sullo stato dell’ambiente marino, anche da un punto di vista socioeconomico».

Al meeting di Parigi il direttore esecutivo dell’Unep, Achim Steiner, ha sottolineato: «Per noi è giunto il momento di pensare a come gestire i nostri oceani. Per molti Paesi sono un pilastro fondamentale del loro sviluppo economico e sociale e sono di vitale importanza nella lotta contro la povertà, ma anche molte di queste risorse naturali essenziali sono degradate da un uso insostenibile, mettendo a rischio i servizi degli ecosistemi che forniscono, ad esempio, la sicurezza alimentare e la regolazione del clima. Le decisioni di gestione e gli investimenti che riguardano il benessere degli oceani sono essenziali se vogliamo continuare a trarre profitto da questa preziosa risorsa naturale. Una Blue Economy nel Mediterraneo ed altrove sarebbe un grande passo nella  strada giusta».

Antonio Giacoletti

http://bluecology.blogspot.it/

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