Biofluorescenza negli squali

Il fenomeno della biofluorescenza in alcune specie di squali è stato scoperto solo di recente. Ad esempio nel piccolo squalo pigmeo appartenente alla specie  Squaliolus aliae sono stati individuati migliaia di piccoli fotofori localizzati principalmente nella parte ventrale del suo corpo fusiforme. La produzione di luce è collegata ad una serie di reazioni biochimiche che coinvolgono l’ormone della melatonina come fattore scatenante. Gli squali della specie esaminata fanno parte della famiglia dei Dalatiidae e sono perlopiù di abitudini pelagiche, trascorrendo la maggior parte del tempo nella zona mesopelagica degli oceani. All’interno di questo gruppo vi sono anche delle specie rare come Mollisquama parini e Heteroscymnoides marleyi costituite da pochissimi individui che frequentano solitamente zone del tutto inaccessibili all’uomo e per questo sono state poco studiate. Per quanto riguarda la specie Mollisquama parini si è comunque stabilito che anch’essa possiede delle ghiandole specializzate per la produzione di un fluido luminoso alla base delle pinne pettorali.

Gli scienziati hanno ipotizzato che questa forma di illuminazione possa essere utile agli squali per difenderli da eventuali predatori. In effetti con il fenomeno della “contro illuminazione” la sagoma degli squali appare camuffata se vista dal basso; non solo questa caratteristica viene sfruttata anche per facilitare la cattura delle prede da parte degli stessi squali. Evidente a riguardo è il caso della specie Isistius brasiliensis che nasconde abilmente tutta la parte ventrale lasciando  visibile la zona attorno al capo dove mancano i fotofori. In questa maniera la sua figura appare più piccola e così lo squalo può attirare organismi marini come grandi pesci e cetacei che sono veloci nuotatori e che vengono utilizzati dallo squalo come fonte di cibo indiretta, attraverso il clepto-parassitismo. Lo squalo pigmeo possiede un sistema di illuminazione più semplice rispetto a quello di altre specie analizzate. I suoi fotofori infatti sono più piccoli e la loro struttura interna è costituita da una singola cellula fotogenica nascosta in una capsula pigmentata e coperta da una o più cellule che hanno la funzione di lenti. Quest’anno un gruppo di ricercatori guidati dagli scienziati  del Museo americano di Storia naturale ha scoperto il fenomeno della biofluorescenza nello “squalo-gatto”. Gli studiosi pensano che possa trattarsi di un modo per comunicare meglio con organismi vicini appartenenti alla stessa specie, nelle profondità oceaniche che sono poco illuminate. In questo caso il meccanismo della illuminazione avviene in tre fasi: prima lo squalo assorbe la luce esterna, successivamente la trasforma e poi la emette. Sicuramente una delle cause che hanno facilitato lo sviluppo di questo fenomeno luminoso risiede nel fatto che gli organismi marini al contrario di quelli terrestri vivono in un ambiente dove il colore dominante appartiene alle lunghezze d’onda del blu.

Chiara Scamardella.

Fonti articolo:

www.amnh.org/…/Biofluorescent%20sharks.pdf

jeb.biologists.org/content/215/10/1691