Biocombustibile dalle alghe: fantascienza o possibile realtà?

Le ricchezze che l’ambiente marino ci offre sono praticamente illimitate ma lo sfruttamento incontrollato dell’uomo ha depauperato e danneggiato questo inestimabile “tesoro” naturale. Potenzialmente però i nostri mari possono ancora offrirci molto, l’importante è che l’umanità impari ad utilizzare queste risorse in modo sensato e sostenibile. Le alghe che popolano i vasti oceani ed i mari più interni del nostro pianeta rappresentano una fonte di cibo per alcune popolazioni e vengono usate dall’industria per produrre idrocolloidi. Visto il forte interesse commerciale nei confronti di questi organismi recentemente in Europa sono state adottate misure per impedire l’eccessivo sfruttamento degli stock naturali. Il modello asiatico che prevede la coltivazione di alghe da destinare esclusivamente all’utilizzo umano offre  l’esempio di una buona pratica, rispettosa dei delicati equilibri ambientali. Nel 2009 è stata condotta una ricerca commissionata dal Sustainable Energy irlandese sulla possibilità di sfruttare le alghe per la produzione di biocombustibili. Nello studio in questione tra le macroalghe analizzate le specie appartenenti al genere Laminaria e Ulva hanno dimostrato di essere quelle più adatte alla produzione di biocombustibile. L’Irlanda e la Scozia hanno delle riserve naturali molto ricche di alghe brune ed in questi paesi l’accesso agli stock selvaggi è controllato dallo Stato. In questo contesto è fondamentale la tutela delle popolazioni originarie di questi preziosi organismi proprio perché se ne conosce il ruolo significativo nel preservare la biodiversità dell’ecosistema marino. La coltivazione delle alghe a lungo termine sulla falsa riga del modello realizzato nei paesi asiatici porterebbe alla generazione di una notevole quantità di biomassa algale, per questo progetti di questo tipo dovrebbero essere monitorati accuratamente e potrebbero svolgersi sia vicino alla costa che in mare aperto.

Attualmente sia  negli Stati Uniti che in Giappone sono state messe a punto delle coltivazioni su larga scala delle dimensioni di 41 km2, ma in Irlanda i costi di operazioni simili non sono stati ancora stimati. I progetti per poter sfruttare le alghe e ricavarne combustibile si basano su due differenti processi: da una parte la fermentazione e la digestione anaerobica per ottenere biogas, dall’altra ancora una volta la fermentazione alcolica che offre come prodotto finale l’etanolo. Nelle alghe la presenza di sali, polifenoli e polisaccaridi solfati può inibire la stessa fermentazione e quindi è un aspetto da non sottovalutare durante la fase di realizzazione dei progetti. Dal punto di vista tecnologico la produzione di biogas dalle alghe attraverso la digestione anaerobica è un procedimento possibile e già sperimentato in passato, mentre la fermentazione alcolica è più difficile da realizzare. L’ostacolo principale è rappresentato dal fatto che alla fine del processo rimangono ancora dei polisaccaridi, molecole complesse che hanno bisogno di una ulteriore trasformazione per poter essere convertiti in monosaccaridi e produrre quindi il biocombustibile. In Irlanda sono stati condotti degli studi per isolare degli enzimi marini le “liasi” che potrebbero contribuire a superare questa difficoltà,  aumentando l’efficienza della fermentazione etanolica. A livello teorico in questo modo il 60% della biomassa secca della specie Laminaria  potrebbe essere utilizzata in modo soddisfacente e dati interessanti derivano anche dalle alghe del genere Ulva grazie al loro contenuto di amido.

Fonte articolo:

www.seai.ie/Publications/…/Algaereport.pdf